18 Marzo 2024
Nell'attuale scenario di invecchiamento demografico e di calo della natalità, l'aumento della partecipazione delle donne alla forza lavoro rappresenta un fattore essenziale per contrastare la riduzione della popolazione in età lavorativa e il declino della produttività, oltre che un elemento chiave per aumentare la resilienza nei confronti di possibili shock futuri. In particolare, una maggiore partecipazione femminile alla transizione digitale, uno dei trend principali del nostro presente e sempre più importante in ottica futura, porterebbe benefici alla società nel suo complesso, da un punto di vista economico, sociale e occupazionale.
Sono queste alcune delle premesse fondanti dell’attenzione al tema “Donne, STEM e il Futuro del Lavoro” come una delle tre aree tematiche della 3^ edizione dell’Osservatorio sul Women's Empowerment di The European House - Ambrosetti, i cui risultati verranno presentati a settembre 2024 durante il 50° Forum di Cernobbio, con l’obiettivo di stimolare miglioramenti continui nel percorso verso l'emancipazione femminile attraverso una misurazione accurata del fenomeno e la condivisione di best practices.
Entro il 2025, tra i Paesi OCSE si stima che l’Intelligenza Artificiale e la robotica genereranno 60 milioni di nuovi posti di lavoro, e saranno le imprese tecnologicamente più avanzate a registrare il maggiore incremento della produttività. Per stare al passo con la transizione, l’Unione Europea stima che i professionisti dei dati raddoppieranno passando da 5,7 milioni a 10,9 milioni, la percentuale di cittadini UE con competenze digitali di base aumenterà dal 57% al 65% nel 2025, raggiungendo una quota dell’80% entro il 2030.
Per vedere il mondo del lavoro cambiare non servirà aspettare fino ad allora. In Italia, secondo un’indagine realizzata da LinkedIn, le competenze richieste dalle aziende negli annunci di lavoro sono già cambiate del 25% negli ultimi 8 anni ed entro il 2030 6 offerte su 10 saranno completamente nuove. A stimolare questo cambiamento sono stati principalmente due motori: lo sviluppo tecnologico, come l’accelerazione dell’AI e dell’automazione, e la transizione ecologica. Se è vero che questi fattori hanno creato nuove opportunità di lavoro, allo stesso tempo hanno anche aumentato il divario tra le competenze che le aziende richiedono e quelle che il mercato del lavoro offre.
Il rischio è quindi di trovarsi poco pronti di fronte ai cambiamenti in atto, perdendo competitività nello scenario internazionale. Una sfida che riguarda non solo le generazioni già inserite nel mondo del lavoro – e per le quali le attività di upskilling e reskilling restano fondamentali – ma soprattutto le nuove generazioni, soprattutto se si considera che la quota di giovani tra 16 e 19 anni che padroneggiano gli strumenti digitali in Italia è più bassa della media UE del -10,6%. Fare largo uso del digitale, infatti, non sempre significa saperlo padroneggiare.
Ad aggravare la situazione è la minoranza di ragazze (40%), rispetto ai ragazzi (60%), che si laureano nei settori STEM, costituendo solo il 27% degli studenti in ingegneria e ICT e il 46% in matematica, chimica e fisica. Eppure, la carenza nelle STEM non è dovuta a limiti cognitivi, anzi, le donne solitamente concludono l’università nei tempi previsti e con voti più alti.
Le carriere STEM non solo preparano a molte delle professioni “del futuro” ma rappresentano anche una grande opportunità economica per l’Italia: i tassi di occupazione sono mediamente più alti, e lo stesso vale per la retribuzione. Anche in questo caso le donne scontano un gap: il tasso occupazionale a cinque anni dalla laurea è del 90% per le donne, e del 94% per gli uomini, con un divario retributivo di circa il 12%.
Molto spesso sono fattori personali, culturali e generazionali, come l’autopercezione e gli stereotipi, ad incidere sull’andamento fatto di alti e bassi della partecipazione femminile ai settori STEM. L’Italia, in particolare, è il 7° Paese UE con il maggior divario di genere per aspettative di carriera degli studenti quindicenni top performer in STEM e, secondo diversi studi, una delle cause principali è proprio la “minaccia dello stereotipo”.
Quando sappiamo di essere messi alla prova contro uno stereotipo che riguarda il gruppo di cui facciamo parte, un insieme di stress, paura e altri fattori psicologici influenzano negativamente le nostre stesse percezioni e performance. Lo stereotipo è generato da norme sociali come la convinzione che «Il lavoro scientifico è più adatto a ragazzi e uomini» o «Le ragazze non sono brave quanto i ragazzi in matematica», falsi miti che finiscono per riflettersi in ambiti come le autovalutazioni scolastiche, le candidature alle offerte di lavoro o ancora per la partecipazione in qualità di speaker a conferenze su questi temi.
Partendo dal presupposto che solo fermando gli stereotipi si potrà dare via libera all’emergere dei talenti, l’Osservatorio contribuisce ad abbattere queste convinzioni portando le proprie evidenze all’attenzione della business community, rappresentanti istituzionali ed esperti, per stimolare un dialogo informato e costruttivo.