Il settore della
moda è un
mercato globale, caratterizzato da una crescita sostenuta ma in cui solo
una frazione minima attua modelli di
economia circolare. È ciò che emerge da “
Just Fashion Transition”, lo studio coordinato da
Carlo Cici, Partner e Head of
Sustainability di The European House - Ambrosetti che mette a fuoco le criticità e le opportunità della
transizione sostenibile nel settore moda.
Lo studio è stato presentato il
27 ottobre 2022 al
Venice Sustainable Fashion Forum, il primo summit internazionale dedicato a un futuro sostenibile del settore moda. Il gruppo di lavoro ha valutato le
performance economico-finanziarie di 2.700 aziende della catena di fornitura, analizzato le
pratiche di sostenibilità di 167 aziende della filiera italiana e gli
strumenti di gestione della sostenibilità delle 100 più grandi imprese europee.
Uno dei temi emersi durante lo svolgimento è che mancano dati univoci sugli impatti ambientali e sociali del settore moda. Oggi è possibile solo basarsi su stime che producono risultati molti diversi tra loro: ad esempio non si conosce il dato sulle emissioni climalteranti generate dal settore - che si attestano tra il 2 e l’8,1% delle emissioni globali. Così come il dato dei consumi idrici, dove la stima più alta è tre volte superiore alla più bassa (215 contro 79 miliardi di metri cubi). In Europa, dove sono stati costruiti set consolidati, i dati ambientali sono molto più affidabili e dimostrano che il 75% delle esternalità negative è prodotto fuori dall’Unione Europea.
Per la prima volta, è stata condotta una valutazione sulla sostenibilità di 167 aziende della filiera italiana della moda (utilizzando il questionario Crif basato sulla metodologia di "Synesgy - la piattaforma di CRIBIS D&B per la conoscenza della sostenibilità ESG delle filiere") da cui emerge che più l’azienda è grande più cresce l’adozione di strumenti per la gestione della sostenibilità, come il monitoraggio delle performance di sostenibilità, la presenza di figure dedicate, l’ottenimento di certificazioni di processo e di prodotto, l’analisi di materialità, la misurazione delle emissioni, la rendicontazione e valutazione dei diritti umani dei fornitori.
In particolare, in Italia la gestione della sostenibilità è condizionata dalla piccola dimensione delle imprese. Sono i regolatori, quindi le istituzioni internazionali, a spingere verso la sostenibilità, in particolare l’Unione europea, con l’introduzione di strumenti obbligatori o volontari che hanno l’obiettivo di standardizzare la misurazione della sostenibilità di imprese e prodotti. Strumenti che cercano sempre più di aumentare il livello di trasparenza dei brand e di responsabilizzarli nei confronti della filiera di riferimento. Il bisogno dei regolatori di intervenire risiede anche nella complessità dello scenario di certificazione dei rating: gli oltre 600 rating ESG disponibili sul mercato non sembrano in grado di produrre i cambiamenti attesi.
L’80% degli attori della filiera afferma di ricevere pressioni dai brand per l’adozione di strategie di sostenibilità, che induce il 53% delle aziende a certificare prodotti e processi. La pressione finanziaria non è percepita come un fattore trainante per la transizione sostenibile, nemmeno per le aziende più grandi. Allo stesso tempo, l’aver ricevuto pressioni dalle banche triplica la propensione delle aziende a pubblicare un bilancio di sostenibilità.
Dal lato dei consumatori, questi sembrano poco propensi a sostenere da soli il peso di comportamenti di acquisto responsabili dal punto di vista ambientale e sociale. Una ricerca effettuata su 19 mila consumatori rivela che se l’80% si dichiara preoccupato per la sostenibilità, solo tra l’1 e il 7% ha acquistato prodotti sostenibili nonostante il prezzo maggiorato. In altre parole, l’interesse dei consumatori alla sostenibilità̀ è 24 volte maggiore della loro disponibilità̀ a pagare per averla.
Infine, emerge che le principali aziende della moda d’Europa si concentrano principalmente sui temi ambientali, in particolare sul clima, con rendicontazioni e obiettivi specifici relativi a emissioni di CO2 e l’utilizzo delle materie prime, ma il tema sociale è centrale in un settore in che impiega a livello globale tra i 60 e i 75 milioni di persone, la maggior parte delle quali vive in Paesi in via di Sviluppo, dove sono più presenti disuguaglianze, fenomeni di lavoro minorile, sfruttamento e condizioni di lavoro insalubri o pericolose.
Lo studio di The European House - Ambrosetti si conclude con sei raccomandazioni per gestire e non subire la transizione sostenibile del settore moda.
- Le aziende devono ricorrere a un’adozione anticipata degli strumenti volontari e obbligatori che l'UE sta introducendo, per sperimentare e fornire feedback e raccomandazioni per migliorarne l’applicazione.
- Sta ai governi definire un'agenda annuale identificando le priorità, gli attori coinvolti e le principali linee d’azione, orientando i finanziamenti pubblici verso le PMI e cercando di favorire la partnership con le istituzioni finanziarie private
- Le alleanze tra i diversi attori della filiera saranno cruciali. La creazione di comunità professionali, oltre a superare le barriere al finanziamento dell’innovazione, dovrà contribuire a diffondere buone pratiche e attività di advocacy
- Per risolvere la mancanza di dati omogenei e condivisi serve un osservatorio permanente, realizzato in collaborazione con le associazioni di categoria e con le alleanze industriali, per raccogliere, sintetizzare e divulgare i dati sul settore. Proponiamo di concordare le metodologie di calcolo e avviare la raccolta dei dati su un set di dati minimi: salari minimi, consumo di acqua, uso di prodotti chimici, emissioni di gas serra, materie prime riciclabili.
- È necessario tradurre la preoccupazione verso l’ambiente dell’opinione pubblica in comportamenti coerenti da parte dei consumatori, ad esempio attraverso eventi dedicati alle tematiche sociali e ambientali, e l’integrazione dei programmi scolastici e universitari per promuovere un cambiamento culturale esteso.
- La transizione sostenibile sarà facilitata se le imprese della filiera del lusso, presenti essenzialmente in Francia e in Italia, costituiranno un’avanguardia in grado di fare sistema e di dettare l’agenda nei tavoli di lavoro europei e delle istituzioni internazionali. Suggeriamo di reinvestire le quote fisse dei margini dei brand per favorire la scalabilità dei modelli di business circolari e condividere le migliori pratiche nel settore.
Il primo Venice Sustainable Fashion Forum è stato organizzato da The European House - Ambrosetti (Global Fashion Unit e Area Sustainability) con Confindustria Venezia e con il patrocinio di Assocalzaturifici e Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità e il contributo di numerosi partner: Venezia Capitale della Cultura d'Impresa, Italian Trade Agency, Camera di Commercio Venezia Rovigo, Camera di Commercio Treviso, Camera di Commercio Padova, Alperia, Greenberg Traurig, DNV, Videndum Media Solutions, Sopra Steria, Give Back Beauty, Temera, VeChain Foundation, Gatto Astucci, D.B. Group, Chargeurs PCC, ACIMIT, Clerici Tessuto, Carbonsink, Cavit, Guess, Pattern Group, Gruppo Mastrotto, Intesa Sanpaolo, Class Editori, CRIBIS – Crif, Starhotels.