16 Marzo 2022
I grandi brand di moda investono su produzione 3D, realtà virtuale e intelligenza artificiale e così creano il settore del “digital fashion”, che vestirà gli avatar del metaverso.
Le aziende del fashion sono sempre più orientate all’innovazione e alla tecnologia, in risposta ai nuovi trend e alle evoluzioni dello scenario. La pandemia da Covid-19 ha comportato un’accelerazione nello sviluppo di strumenti e prodotti digitali, dato il calo drastico degli acquisti in negozio, l’impennata del ricorso all’e-commerce e la necessità di lavorare a distanza alle collezioni per garantire il distanziamento sociale. L’aumento degli ordini online ha aumentato anche i resi e richiede di affrontare le conseguenze del “reverse logistic”, che impattano sull’azienda e sull’ambiente.
Per migliorare l’esperienza utente, aumentare l’efficienza dei processi ed essere più sostenibili, diverse aziende del lusso stanno sviluppando sistemi basati sulla realtà virtuale e sull’intelligenza artificiale, orientati a dar vita a un nuovo settore, quello del “digital fashion”.
Oggi la “fashion technology” può contare su tecnologie che fino a pochi anni fa non esistevano ancora, e che iniziano a essere a disposizione anche dei consumatori finali. Gli ultimi modelli di smartphone di fascia medio-alta hanno un comparto ottico con una definizione molto elevata e alcuni di essi integrano già la funzionalità di scansione 3D, che consente di scansionare e riprodurre digitalmente quello che viene inquadrato. Anche i visori di realtà virtuale stanno diventando sempre più accessibili, partendo da un costo di $75 per un apparecchio di fascia media, a cui si aggiungono anche alternative economiche come Google Cardboard, che consente di usare il proprio smartphone come visore.
Unendo la crescente disponibilità di questi strumenti con gli investimenti fatti dalle aziende per lo sviluppo 3D dei prodotti – soprattutto durante i mesi di lockdown, che imponeva il lavoro da remoto –, si pongono le basi per la creazione di piattaforme e strumenti che consentono di “indossare” capi virtuali attraverso degli avatar creati in base a una scansione fisica del potenziale acquirente. Al momento, la tecnologia non è ancora così sofisticata da consentire una sovrapposizione perfetta tra il corpo reale e quello virtuale, ma consente già di individuare eventuali problemi di aderenza e di simulare il comportamento del capo quando indossato.
I vantaggi del digital fashion sono molteplici: i capi riprodotti in 3D possono essere veicolati facilmente su varie piattaforme, raggiungere consumatori che non hanno la possibilità di raggiungere store fisici e diventare uno strumento di intrattenimento per gli utenti.
I body avatar vengono già utilizzati in diversi contesti, ad esempio tra gli appassionati di e-sport, i Vtuber e gli streamer di Twitch che utilizzano alter ego per interagire con la propria community durante le sessioni di gioco in diretta. Esistono anche casi di personaggi digitali diventati veri e propri influencer, come Lil Miquela, che è stata testimonial di varie griffe (Chanel, Proenza Schouler, Vetements, Moncler) e Hatsune Miku, popstar giapponese che nel 2016 è stata vestita con un abito di Haute Couture di Givenchy dal designer Riccardo Tisci.
Abiti e accessori virtuali diventano così un prodotto accessibile della gamma del lusso, come dimostrato ad esempio dal successo delle “skin” di Louis Vuitton – con cui i giocatori di League of Legends hanno potuto personalizzare i propri avatar per un costo di $10 – oppure dei bitmoji di Ralph Lauren su Snapchat. Le piattaforme di gioco e realtà virtuale diventano così un nuovo touchpoint d’entrata dell’esperienza di brand e favoriscono la creazione di brand ambassador tra la Generazione Z, con cui le griffe hanno più difficoltà a interagire.
Altre aziende hanno fatto del digitale il proprio elemento distintivo: The Fabricant, XR Couture, The Dematerialised e Dress-X sono alcuni esempi di fashion-tech player che realizzano esclusivamente abiti in 3D, da indossare in ambienti virtuali o da sovrapporre alle foto scattate nel mondo reale. Il “digital clothing” contribuisce anche ad attutire gli impatti del fast fashion, che comporta l’acquisto di indumenti e accessori che vengono indossati solo per una stagione o persino per il tempo necessario a scattare una foto da pubblicare sui social network.
Un altro esempio è la scelta fatta da Zara di lanciare la sua prima collezione di indumenti e cosmetici digitali sul metaverso sudcoreano Zepeto, in collaborazione con il brand Ader Error. Pensata per dispositivi mobile, la piattaforma ha più di due milioni di utenti giornalieri, principalmente giovani donne tra i 13 e i 24 anni, che hanno la possibilità di acquistare abiti per i propri avatar 3D. La collezione viene venduta anche negli store fisici, allo stesso prezzo dei corrispettivi virtuali, ma in questo metaverso si usa una valuta proprietaria, valida solamente al suo interno (14 ZEM equivalgono a $0,99). Tra i grandi brand che stanno sperimentando il metaverso troviamo anche Dolce & Gabbana, Gucci, Adidas e Nike.
I casi di contaminazione tra realtà virtuale e fashion sono diversi, ma le potenzialità non vengono ancora sfruttate appieno. Ancora poche aziende puntano ad acquisire competenze di produzione 3D – sia internalizzandole che appoggiandosi a fornitori specializzati – e altre ritengono che questa tecnologia non si rivolga a loro perché pensata esclusivamente per i brand che parlano alla Generazione Z. Osservando gli sviluppi del mercato, ci stiamo avviando verso uno scenario in cui ognuno di noi, non solo le ultime generazioni, potrà avere una propria identità digitale, parallela a quella fisica. L’idea di un metaverso interconnesso tra varie piattaforme, in cui muoversi, giocare e interagire, durante la pandemia sembra aver acquisito contorni più concreti rispetto ai passati tentativi, e rappresenta un’opportunità che le aziende della moda non possono lasciarsi sfuggire.
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A cura di Elena Antiga, Global Fashion Unit